Canto fermo ma non solo...

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Il Cantore ecclesiastico..., 1733 (p. 37)

Il canto piano e la salmodia non sono affatto gli unici argomenti dei trattati italiani di canto fermo : essi si distinguono dai metodi francesi stampati durante l'età moderna, i quali risultano più orientati sul canto monodico autentico.

I trattati italiani di canto fermo offrono anche altre tematiche. Il soggetto più trattato è il canto fratto: il periodo in cui gli autori lo menzionano va dal Canto harmonico... di Andrea da Modena (1690) al Breve ragguaglio... di Della Gatta (1793). Inoltre, è opportuno notare che, durante quest'epoca, la pubblicazione del Cantore ecclesiastico di Foglietti (1788) provoca la congiunzione tra canto fratto peninsulare e plain-chant musical francese. Si fa riferimento al soggetto del canto fratto, senza usarne direttamente il concetto, anche quando Giuseppe Frezza Dalle Grotte informa il suo lettore delle figure ritmiche di quella tipologia di canto senza spiegare le ragioni.

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Il Cantore ecclesiastico..., 1733 (p. 131)

L'altro argomento presente nei trattati di canto fermo è il ruolo dell'organo nella liturgia. In effetti, l'organista doveva sapere quando e come suonare in funzione della solennità di ogni occasione liturgica. Inoltre la pratica di cantare l'ufficio in alternanza tra il coro e l'organo richiedeva all'organista la capacità di improvvisare i versetti e di scegliere un tono adeguato per i cantori come per lo strumento. Questo elemento era particolarmente sensibile a causa della differenza di diapason da una parte all'altra della penisola. Alcuni metodi aggiungono a tal fine una "regola" particolare con una distinzione tra "organo romano" e "organo lombardo" (Frezza, 1698), mentre diversi avvisi sono inseriti nel resto del testo. La più ampia trattazione a riguardo si trova nelle opere di autori provenienti dalle comunità regolari dove cantori e organisti dovevano collaborare quotidianamente.

Il canto figurato - cioè la "vera" musica - si trova associato a parecchi trattati di canto fermo. Certi metodi sono esplicitamente dedicati ad un insegnamento 'integrato' della musica che, sin dal loro titolo, combina insieme canto fermo e canto figurato (Lanfranco, 1533; Aaron, 1545; Verrato, 1623; Picerli, 1630; Cavalliere, 1634; Avella, 1657; Bismantova, 1677; Bertalotti, 1698). Altri metodi sono dedicati esclusivamente al canto fermo ma sono pensati come momento di un percorso musicale più ampio: Illuminato Aiguino fece pubblicare nel 1562 La illuminata de tutti i tuoni di canto fermo e poi, nel 1581, Il tesoro illuminato di tutti i tuoni di canto figurato. Ottavio Ferraro divise la sua Opera nova in due volumi (...di canto fermo ...di canto figurato) pubblicati lo stesso anno, nel 1620. Nella trattatistica italiana, la vicinanza tra canto figurato e canto fermo sembra tuttavia un fenomeno circoscrivibile ai secoli XVI e XVII. Soltanto alcuni testi settecenteschi mostrano nel titolo l'intenzione di voler trattare i due argomenti, mentre i riedizioni di trattati seicenteschi mantengono un capitolo o una sezione che affrontino la teoria della musica figurata. Infine il secolo XVIII si caratterizza per un certo tipo di denuncia della musica concertata, come si legge nel corso del trattato di Santoro (Scola di canto..., 1715, p. 153):

Io non voglio far giudizio qual de due canti sia in più preggio nella S. Chiesa, se il canto misurato, che è il figurato, o l'immisurato, che è il canto fermo, bensì una sola cosa vò dirne, & è, che il canto figurato a nostri tempi ha passato di soverchio i limiti dell'onestà, mentre pur troppo da teatri passa sù l'organi devoti, dove fà sentire le più sacre composizioni travestite con arie da scena con poco frutto de' devoti, perche tal canto vellica i sensi, e non tocca il cuore alla divozione [...]

Qualunque siano questi giudizi di valore, i trattati italiani di canto fermo costituiscono una via d'accesso originale a parecchi aspetti della performance practice della musica sacra barocca.

Canto fermo ma non solo...