Metodi di canto
La dimensione teorica inerente all'insegnamento del canto fermo non impedisce a questi trattati di fornire gli elementi di una vera pedagogia vocale. Quasi tutti contengono delle serie di moduli melodici pensati per favorire l'apprendimento degli intervalli (seconda, terza, quarta...).
Tali esercizi servivano innanzitutto all'applicazione delle regole della solmisazione: in questo caso, i principianti pronunciavano solo il nome delle note. Gli stessi esercizi erano utilizzati dopo come solfeggi da cantare. La mescolanza degli intervalli e la frequenza dei salti li trasformavano in brani vocalmente impegnativi!
La qualità dell'emissione vocale sottesa a questi esercizi non è dimenticata da quegli autori che avevano introdotto il criterio del legato vocale tra i loro obiettivi didattici. Nel suo trattato stampato per la prima volta nel 1698, e seguito da due altre edizioni (1713 e 1733), Giuseppe Frezza Dalle Grotte esorta gli allievi a esercitarsi nella continuità delle vocali tra due, tre e poi quattro note.
Nel corpus dei trattati, la definizione della stilistica del canto piano non si limita a un allenamento per ottenere la flessibilità o l'omogeneità della voce necessaria. Molti autori richiedono anche la corrispondanza tra la maniera di cantare e gli affetti modali (Marinelli, Via retta..., 1671) o quelli associati a ogni tipo di canto: antifona, responsorio, etc. (Cizzardi, Il tutto in poco..., 1711). Citando il trattato cinquecentesco di Angelo da Picitono, Matteo Coferati nel suo Cantore addottrinato (1682), con una certa meticolosità, attribuisce particolari affetti anche a certe note.